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Mar 1, 2008 - Senza categoria    No Comments

PREMESSA

Erano diversi anni che desideravo visitare l’Africa per vedere direttamente con i miei occhi, senza mediazioni di altri, la situazione nel continente più povero del mondo.55f103a1dc3e29dedb2532ef095ac858.jpg

L’occasione è arrivata con un viaggio promosso dal Centro Missionario Diocesano e dall’Azione Cattolica albese alla missione di Marsabit nel Kenya, fondata nel 1963 dai sacerdoti albesi don Paolo Tablino e don Bartolomeo Venturino. Anche se dal 1998 per diversi anni non ci sono più stati sacerdoti diocesani alla missione, l’Azione Cattolica albese ha continuato a sostenere la missione e ad organizzare viaggi di conoscenza per i giovani. Il racconto di alcuni amici che sono già stati e la partecipazione a un corso sulla realtà delle missioni albesi in Kenya, Brasile, India e Bangladesh, mi convincono a partire per fare quest’esperienza.

Mi unisco a tre ragazze, Simona, Eugenia e Serena, e con l’aiuto di Patrizia del Centro Missionario  organizziamo un viaggio di tre settimane, dal 20 ottobre al 13 novembre. Nella preparazione ci aiutano i sacerdoti che sono stati in missione, don Bartolomeo Venturino, don Giacomo Tibaldi,  don Vincenzo Molino e don Flavio Costa oltre a diversi giovani che ci hanno preceduto in viaggi negli anni passati.

Con noi portiamo molte lettere e offerte per i missionari, oltre a una piccola attrezzatura medica e generi di conforto alimentari difficilmente trovabili nel continente nero.

20 OTTOBRE 2006 VENERDI’ – Da Alba a Nairobi

La sveglia suona nel cuore della notte alle 2 e 30 e intorno alle 3 partiamo per l’aeroporto di Malpensa. Ci dà un passaggio Diego, amico di Serena, su una spaziosa monovolume. Arrivati a Malpensa alle 5 prendiamo l’aereo delle 7 e 30 per Zurigo, da dove parte alle 9 e 45 l’aereo per Nairobi.

Durante le 8 ore di volo riesco a non pensare alla mia paura di volare sfruttando tutti i comfort della Swiss Air, soprattutto il piccolo schermo che ho di fronte e che mi permette di vedere fuori grazie alle telecamere installate davanti e sotto l’aereo. Durante il viaggio sorvoliamo il deserto del Sahara. La distesa di sabbia rosa interrotta da alcuni solchi scuri mi danno l’impressione di volare sul pianeta Marte. b8a13d57a5f5ac80c096f983db76df68.jpgPiù tardi mi renderò conto che in effetti stiamo per atterrare su un altro pianeta rispetto a quello dove viviamo abitualmente, in un viaggio intercontinentale che somiglia ad un viaggio interplanetario.

All’aeroporto di Nairobi ci accolgono due padri comboniani, lo spagnolo Daniel, Rettore del Seminario comboniano di Nairobi dove ceniamo e pernottiamo, e il brasiliano Jovercino, della missione di Marsabit. Per fortuna conoscono l’italiano. In Kenya le lingue ufficiali sono l’inglese e il kiswahili, mentre ogni tribù parla un proprio dialetto. Prima di partire abbiamo imparato qualche parola in kiswahili, mentre con l’inglese quella che se la cava meglio è Serena.

 21 OTTOBRE 2006 SABATO – Da Nairobi a Karrare

Anche oggi la sveglia suona presto e prima dell’alba, alle 5 e 30, partiamo col pulmino di padre Daniel e vediamo Nairobi solo di sfuggita, con i suoi grattacieli e le sue baraccopoli. Non è ancora chiaro ma la città è già in fermento, nonostante gli improvvisi scrosci di pioggia. Il centro sembra quello di una metropoli dell’Occidente, mentre la periferia è più povera, senza illuminazione pubblica. Avremo modo di visitare Nairobi nell’ultima tappa prima del nostro ritorno a casa.

2a3031432b774a5e07d492bce55ef8a0.jpgUsciamo dalla capitale e ci dirigiamo verso nord. Marsabit dista ben 600 km. La strada è asfaltata ma in alcuni tratti piena di buche e a complicare la guida ci sono i dossi artificiali (anche qui in Africa!). Non esistono o quasi segnali stradali, la guida è a sinistra e quindi anche le rotonde si percorrono al contrario. Le auto (con il volante sul posto di destra) sono poche, ci sono diversi pulmini (‘matatu’) stracarichi che sfrecciano.  La maggior parte della gente si sposta a piedi, anche per molti chilometri, alcuni su biciclette cariche di roba fino all’inverosimile.  C’è anche gente su carretti trainati da muli.  Molto rare le auto private per pochi ricchi. Notiamo subito una situazione di povertà diffusa.

Attraversiamo Sagana, Karatina e Naro Moru per fare tappa alla “procura” di Nanyuki dove ci sono gli uffici della diocesi. Ci accoglie fratello Giovanni e, dopo aver salutato padre Daniel che ritorna a Nairobi, ripartiamo verso Marsabit con la Land Rover appena riparata di Jovercino.

Attraversiamo l’equatore facendo una breve sosta nel punto preciso che separa l’emisfero sud dall’emisfero nord del pianeta, dove assistiamo all’esperimento dell’acqua che scende nell’imbuto in senso antiorario o orario a seconda se ci spostiamo di pochi passi a sud o a b0496daf5de827a83d2de11c5d5be410.jpgnord dell’equatore. 

Riprendiamo il viaggio verso nord fino ad arrivare in una località che si chiama Isiolo, dove padre Jovercino va a comprare qualcosa da mangiare durante il viaggio. Nelle soste del viaggio abbiamo visto bambini, uomini e donne sorridenti e disponibili al saluto.   Ma dopo il saluto i bambini tendono la mano sperando di ottenere qualcosa. In pochi attimi siamo accerchiati da chi vuole venderci la propria mercanzia o semplici curiosi che ti pongono mille domande in inglese.

e48968826cfe6fe94000a642997e3cbd.jpgAd Isiolo finisce la strada asfaltata e per tre settimane vedremo solo strade sterrate piene di buche, che in caso di pioggia diventano fangose e piene di insidie.

Siamo entrati nel nord del Kenya, la zona più povera e dimenticata del Paese.

Per chilometri il paesaggio è semidesertico, non incontriamo alcun centro abitato (a parte Archer’s Post e Laisamis) ma solo isolati pastori di cammelli e capre che ci salutano dal ciglio della strada.

3ccd50b66046fcffc62fbbba10701b9b.jpgA questo punto il nostro viaggio somiglia un po’ ad un safari (che in kiswahili significa ‘viaggio’) e con un po’ di fortuna e riusciamo anche ad avvistare una zebra,  una gazzella e una giraffa, oltre a molti dik-dik che ci attraversano la strada, un babbuino ed un avvoltoio.

Al tramonto arriviamo a Karrare, poco lontano da Marsabit, dove ceniamo e pernottiamo nella casa parrocchiale vicino alla chiesa.  Qui c’è anche un dispensario 1c4c6b8d938c42e00e1ba188f9079291.jpgmedico e una scuola secondaria gestita dalle suore della Consolata.

Possiamo fare la doccia calda avendo cura di non sprecare l’acqua piovana raccolta nelle cisterne e riscaldata con i pannelli solari. In bagno facciamo conoscenza con gli insetti africani, che sono di dimensioni maggiori rispetto agli insetti europei.

Per la prima volta nella mia vita dormo in un letto con la zanzariera. La malaria, trasmessa da un particolare tipo di zanzara, è una delle principali cause di morte da queste parti, soprattutto per i bambini dei villaggi che non hanno nessun tipo di assistenza medica. Chi mi ha preceduto in questo viaggio mi ha sconsigliato la profilassi antimalarica per i suoi effetti collaterali, e allora mi difendo con repellenti cutanei (l’Autan è stato il profumo che mi ha accompagnato in questi giorni) e dormendo sotto le zanzariere.

22 OTTOBRE 2006 DOMENICA – Da Karrare a Marsabit

Possiamo dormire un po’ per riprenderci dal lungo viaggio di questi giorni. Il mio sonno è turbato da brutti sogni, probabilmente suscitati dal racconto di padre Jovercino sull’assassinio di mons. Luigi Locati, vescovo di Isiolo, avvenuto appena un anno fa, il 14 luglio 2005. Negli stessi giorni nei dintorni di Marsabit erano avvenute delle stragi tribali, tra Gabbra e Borana, in cui avevano perso la vita circa 80 persone, tra cui molti bambini. Lo stato di tensione tra le due tribù più diffuse sul territorio aveva messo in forse il nostro viaggio, ma per fortuna ora la situazione sembra essersi ristabilita. Comunque lungo il nostro viaggio abbiamo notato molti pastori che portano in spalla un fucile.

805ec867c9d44ee8e7f0d01cbdcf3a51.jpgE‘ domenica e dopo la colazione con padre Jovercino andiamo alla Messa delle 9,30 animata da molti canti e danze e che prevede il battesimo e la prima comunione di diverse ragazze. Mi dispiace di non avere con me un registratore per incidere questi canti gioiosi, ben ritmati coi tamburi e un po’ ripetitivi. Il mio inglese un po’ approssimativo mi permette di seguire solo in parte l’omelia di padre Jovercino sui simboli del battesimo. La Messa dura più di 2 ore ed è seguita da canti e danze fuori dalla Chiesa e con la recita di alcune scenette molto divertenti a giudicare dalle risate dei presenti. Le donne hanno abiti coloratissimi, alcune portano al collo monili molto belli. I bambini 8338e1b37ccd552557fdce02dc43c34d.jpgcolpiscono per i grandi occhi e la tenerezza che ispirano, i più piccoli sono portati legati alla schiena o al grembo delle madri. Gli uomini sono vestiti all’occidentale con la giacca, alcuni eleganti, e siedono al fondo della chiesa, separati dalle donne che si occupano dell’animazione.

Dai bei vestiti da festa che indossano non si direbbe che la maggior parte di loro vive in capanne primitive.

Dopo pranzo nel pomeriggio da Karrare ci dirigiamo verso la missione di Marsabit, 89ad11b7f91853cd36a0087cc0d30074.jpgdopo aver recapitato posta alle vicine suore della Consolata. Sul tragitto abbiamo la fortuna di scorgere tra la boscaglia alcuni elefanti.

Arriviamo a Marsabit con le strade insolitamente fangose dopo la pioggia. Ha piovuto forte nella prima mattina mentre ancora dormivamo e ha piovigginato all’uscita dalla Messa. Marsabit è il più grande centro della zona ed oggi conta circa 30.000 abitanti. Si presenta come molti dei paesi che abbiamo attraversato il giorno precedente: piccoli negozi in lamiera colorata in centro, il distributore di carburante, gente ferma per strada o che si muove a piedi su strade sterrate e fangose piene di buche.

Arriviamo alla missione e ci sistemiamo nelle stanze. Le ragazze stanno nella casa dietro a quella dei padri mentre io sono nella casetta di fronte in una stanza da solo con 2 letti .  Prima di cena facciamo conoscenza di padre Alex Ferreira, il parroco portoghese che parla bene italiano, suor Betta Almendra, anche lei portoghese e parla italiano, suor Alberta e suor Ornella, che sono italiane originarie del Veneto e della Lombardia. Ceniamo dalle suore che ci fanno gustare cibi leggeri e saporiti e abbiamo modo di apprezzare le loro qualità eccezionali. La loro accoglienza è calorosa e ci sentiamo subito come in famiglia.

Dopo cena ci fa visita il vescovo di Marsabit, mons. Ambrogio Ravasi, che nonostante i suoi anni gira ancora con la sua Land Rover. Ci racconta gli inizi della missione albese a Marsabit, quando don Tablino e don Venturino vennero richiamati da Nyeri dall’allora vescovo mons. Cavallera.

23 OTTOBRE 2006 LUNEDI’ – Marsabit

Dopo la colazione padre Alex ci accompagna a visitare le varie parti della missione di Marsabit. Innanzitutto la 0375506644013373014f80e9cef46220.jpgChiesa costruita nel 1969 al posto della primitiva chiesa in lamiera. Dietro l’altare si notano degli splendidi affreschi opera di un pittore ugandese raffiguranti diversi episodi della vita di Gesù. Le due cappelle laterali sono dedicate a padre Comboni e alla Consolata. La torre campanaria vicino alla Chiesa, con l’orologio che segna sempre la stessa ora, fu costruita successivamente nel 1990 per opera di don Pietro Pellerino.

Abbiamo quindi visitato i locali del collegio e scuola primaria femminile Santa 681dc491f295735fb930184a4c074c5b.jpgTeresa, nel cui refettorio sono presenti sul muro gli affreschi di due ragazze, Silvia e Alice, che ci hanno preceduto in visita a Marsabit nel 2002.

A questo punto ci prende in custodia la simpaticissima suor Betta che ci ha fatto conoscere le donne di etnia Turkana che ogni mattina si trovano nei locali della missione per realizzare monili composti di perline colorate (collane, braccialetti, corone del Rosario). Queste donne fanno parte di uno dei progetti da un’iniziativa della Diocesi di Marsabit chiamata ‘Heshima na Tumaini’ (Dignità e speranza), che punta ad attività educative e produttive rivolte a gruppi di donne, coordinate da una donna del luogo, Eva Darare.

Dopo aver apprezzato le capacità manuali di queste donne siamo stati coinvolti, durante un intervallo di lavoro, nei loro canti e balli tradizionali.

Quindi abbiamo visitato la biblioteca (‘library’)  dove i bambini e i ragazzi possono leggere o prendere in prestito libri di tutti i tipi e di diversi argomenti. Negli scaffali i libri sono un po’ in disordine e uno dei lavori che ci affideranno sarà quello di riordinarli.

Prima però c’è da fare nel teatro, dove abbiamo trascorso la restante parte della mattinata a pulire i vetri pieni di sabbia portata dal vento e a rattoppare le tende che dovrebbero oscurare il locale durante la proiezione di films. A spostare e reggere la lunga scala ci aiuta un giovane del posto, Patrick, che frequenta i locali della missione e che vedremo servire alla Messa.

f29a03c2af39abd00797b5cb9e671d2e.jpgMentre pulisco i vetri dall’esterno noto le abitazioni attorno alla missione, alcune in muratura  altre più povere in lamiera. A Marsabit la maggior parte delle abitazioni sono così. Fanno eccezione alcune case di commercianti più benestanti in centro e le case costruite in periferia per i dipendenti pubblici.

Dopo il pranzo con padre Alex, il tempo inclemente non ci permette di salire sulla collina da don Tablino, come previsto. Suor Betta ci trascina al mercato in paese in mezzo al fango. Il centro del paese è una serie di piccole botteghe colorate col tetto 27aeb0682bef2e2923c71ca26ed0e119.jpgin lamiera dove si può trovare di tutto. Lungo le strade fangose incontriamo capre allo stato brado, gente in bicicletta (pochi, perché qui è un bene di lusso) e tanta gente a piedi che ci guarda con curiosità. Non possiamo scattare molte fotografie perché la gente non gradisce. Al termine della camminata le nostre scarpe sono coperte da uno strato di fango. Durante la stagione delle piogge è consigliabile munirsi di stivaletti.

Alle ore 17 assistiamo alla Messa celebrata da padre Alex alle studentesse del Santa Teresa. Non comprendiamo nulla di quanto detto in kiswahili ma apprezziamo i canti ritmati dai tamburi delle ragazze.

La cena a casa delle suore è a lume di candela per un improvviso e prolungato black-out.

8e3366599d60be33b215f257928453b1.jpgNella serata siamo invitati nel refettorio del collegio per assistere ai canti, alle danze e alle scenette delle ragazze, che ci trascinano a ballare al ritmo dei loro canti tradizionali. Come tamburo utilizzano un bidone di plastica rovesciato. Ci promettiamo, prima di partire, di regalare loro un tamburo nuovo. Hanno delle voci molto belle e particolari, che raggiungono note molto alte, e hanno il ritmo nel sangue, anche perché abituate a trascorrere le serate tra canti e danze e non davanti alla televisione come noi.

Usciamo e possiamo ammirare il cielo stellato, ma non riesco ad orientarmi tra le diverse costellazioni che qui all’equatore occupano posizioni diverse rispetto all’Europa.

Speriamo che il tempo sia meno piovoso domani.

24 OTTOBRE 2006 MARTEDI’  Marsabit

Dopo colazione siamo tornati al teatro per finire il lavoro iniziato ieri, cioè di spolverare i vetri e rammendare le tende. Il tempo sembra migliore di ieri, anche se ogni tanto c’è qualche breve rovescio di pioggia.

Sembra che con il nostro arrivo abbiamo portato la pioggia. Qui ci sono due periodi di piogge nel corso dell’anno: da marzo a maggio c’è la stagione delle grandi piogge, mentre a novembre ci sono le piccole piogge. Le nuvole arrivano da est dall’Oceano Indiano e si scaricano al mattino soprattutto nella zona di Marsabit e i rilievi dei dintorni, dove predomina il verde della foresta e dei campi coltivati. A pochi chilometri tutto intorno si scende in una zona semidesertica dove piove di meno e la vegetazione è formata da piccoli arbusti e acacie, il regno dei piccoli villaggi di pastori di cammelli e capre.

La gente è contenta della pioggia perché vuol dire che c’è acqua per bere, lavarsi e coltivare qualcosa.

Dopo le abbondanti piogge portate dal ‘niño’ 10 anni fa si sono succedute regolarmente stagioni ‘normali’ di piogge, salvo 2 anni fa che è stato particolarmente siccitoso e la gente era costretta a spostarsi alla ricerca di un po’ d’acqua, recandosi soprattutto qui a Marsabit alla missione.

34742e13993de95573d5256ac04174d8.jpgA pranzo presso i padri facciamo conoscenza di padre John Kundu, un simpaticissimo keniota che lavora presso l’ufficio pastorale diocesano e che parla molto bene l’italiano perché ha studiato diversi anni a Roma. Si parla dei mussulmani che festeggiano la fine del ramadan mangiando tutto il giorno, mentre nel mese lunare precedente mangiavano tutta la notte. Secondo padre John bisogna puntare sull’integrazione dei mussulmani immigrati in Italia da anni, che in qualche modo hanno potuto, nel corso delle generazioni, assimilare un po’ della nostra cultura. Padre Alex ci parla della Consulta religiosa di Marsabit che riunisce rappresentanti cattolici, protestanti e mussulmani per creare un clima di dialogo e di pace dopo gli scontri tribali dello scorso anno. Non si fa dialogo interreligioso, ma comunque è un modo per incontrarsi e conoscersi, superando pregiudizi e diffidenze.

d9f9a59f7adcbbaee63102df7cb1db6c.jpgA Marsabit i mussulmani rappresentano il 70% della popolazione, esistono diverse moschee, ma finora non si sono verificati fenomeni di fondamentalismo, anche se molti provengono dalla vicina Somalia. Si sentono già all’alba quando recitano le preghiere e i ‘muezzin’diffondono la loro voce nel paese coi megafoni, facendo concorrenza alla chiesa protestante che si avvale degli stessi mezzi.

Nel pomeriggio suor Betta ci accompagna in paese nella casa delle Suore della Carità di Madre Teresa che ospitano 13 bambini/e orfani o con problemi famigliari in 1fb7fcdd5ceb89e5c6a769f72706d454.jpgtenerissima età. Trascorriamo con loro il pomeriggio tra palloncini, canti e balli. Dimostrano un enorme bisogno di affetto chiedendo di essere tenuti in braccio. Quando è l’ora di andarsene la bambina che tenevo in braccio scoppia in lacrime e le prometto di ritornare nel tentativo di consolarla.

Lungo la strada del ritorno passiamo accanto all’ospedale, che visiteremo in uno dei prossimi giorni.

004c11035e8af6caf8429acad2b7b7bd.jpgDopo la cena con le suore vediamo insieme un po’ di foto storiche della missione negli anni passati, tra cui suor Isabel Gonzalez che ha lanciato diverse iniziative e progetti per le donne. Arriva padre Alex che ci invita a fare attenzione nel rientrare nelle nostre stanze perché 2 bufali sono riusciti a entrare all’interno del recinto della missione. Con il venir delle tenebre i cancelli della missione vengono chiusi e per motivi di sicurezza c’è un guardiano addetto a controllare i movimenti notturni. Ci raccontano che nei periodi di siccità capita che gli elefanti dalla foresta entrano nella missione per abbeverarsi dell’acqua accumulata nelle cisterne.

Oggi non solo mi sembra di essere atterrato su un altro pianeta, ma mi sembra di essere tornato indietro con la macchina del tempo o di vivere in un sogno fuori dalla realtà.

25 OTTOBRE 2006 MERCOLEDI’ Marsabit e Jilo

ec2d0e5682b23f47ef25e2e8cfc1522a.jpgPrima giornata senza pioggia da quando siamo arrivati. Al mattino suor Betta ci ha portati, con la sua Land Rover che ha il compensato in sostituzione dei vetri rotti, alla ‘Shrine’, il Santuario posto su una collina che domina Marsabit, dove abita don Paolo Tablino, uno dei fondatori della missione.

La sua accoglienza è molto cordiale e innanzitutto ci porta a visitare le diverse parti della casa: la cappella, la biblioteca, le sue stanze, il punto panoramico verso il deserto e il salone per convegni e riunioni che è in corso di costruzione. Nei corridoi3982bea7f820968390a103a2bef89e1f.jpg sono in allestimento affreschi che raffigurano diversi episodi della Bibbia. Il Santuario è realizzato grazie a un lascito espressamente rivolto a questo scopo. La casa è in stile europeo, mi ricorda la casa diocesana per esercizi spirituali di Altavilla ad Alba. E’ un angolo di Europa in Africa e per questo stride un po’ in un contesto di povertà diffusa. Più tardi ci siamo domandati se tanto denaro poteva essere investito nella realizzazione di qualcosa più utile alla gente del posto.

Mentre beviamo il tè preparato con le sue mani, don Tablino ci parla dell’ultima edizione del suo libro stampato lo scorso anno, di cui siamo incaricati di riportare in Italia una copia per il Centro Missionario Diocesano. Ci spiega le diverse tribù che vivono in zona: i borana che sono in maggioranza nella zona di Marsabit, i Gabbra in maggioranza a Maikona, i Rendille a Kargi, i Samburu più a sud e i Turkana sparsi sul territorio. Parliamo anche del centro per disabili in costruzione a Dirib Gombo che andremo a visitare, per cui don Gino Chiesa in Italia sta organizzando una raccolta fondi.

5336d8c3c6970da6c9346ab1308a0881.jpgPrima di andare via, facciamo visita alle suore che abitano nei locali del Santuario.

Conosco già don Tablino perché amico di famiglia, soprattutto di mio zio Beppe. Non lo vedevo da diversi anni: mi è apparso un po’ invecchiato e un po’ più ‘bianco’ di aspetto, ma conserva una grande lucidità dimostrando la sua immensa cultura, nonostante i suoi 78 anni.

A questo punto il programma prevede di andare a trovare il vescovo, mons. Ravasi, ma lo incrociamo lungo la strada mentre va a trovare don Tablino.

Nel pomeriggio ci dividiamo: io e Simona andiamo con suor Betta a  Jilo, poco fuori Marsabit, in una scuola primaria dove Betta tiene una lezione di religione in lingua inglese, presentandoci a ragazzi e ragazze che appaiono più curiosi di noi due che della catechesi. Più tardi apprendiamo che diversi di loro sono di religione mussulmana. Riesco a seguire abbastanza la lezione, riuscendo a dire la mia, una volta interpellato, sulla distinzione tra apostoli e discepoli. Nelle aule ci sono le cose essenziali per una scuola: i banchi e le panche per gli alunni, una cattedra e una lavagna per l’insegnante, qualche carta geografica appesa alle pareti. Sui pavimenti c’è molta terra, conseguenza del fango presente lungo le strade dopo le piogge di questi giorni, che viene trasportato all’interno.

4b8c7600f3e43d1497289dde892c6b2d.jpgTerminata l’ora ci rechiamo nella chiesa vicina per un momento di preghiera animato da canti e balli delle bimbe e delle ragazze.

Torniamo alla Missione e prima della cena dalle suore c’è il tempo di imparare a fare il bucato. Le camicie e le magliette qui si sporcano di terra molto facilmente…

Dopo cena resto incantato dal cielo stellato e comincio ad orientarmi tra le costellazioni dei cieli del sud con l’aiuto delle mappe stellari che mi sono portato. Ogni tanto mi guardo intorno perché anche stasera i bufali sono entrati nel recinto della missione.

26 OTTOBRE 2006 GIOVEDI’ Da Marsabit a Kargi

Stamattina diamo una mano a risistemare il magazzino dei medicinali, sfruttando le conoscenze di Simona, infermiera, e di Jenny, fisioterapista. I farmaci in scadenza sono stati inscatolati per Kargi e Karrare dove, si suppone, verranno utilizzati presto. Attualmente è suor Betta che segue il magazzino di medicine della missione, anche se non è infermiera come suor Isabel che c’era prima di lei. In futuro si pensa di trasferire tutti i medicinali dal magazzino di Marsabit al dispensario di Dirib Gombo. Su un grosso registro dobbiamo riportare in rigoroso ordine alfabetico tutti i farmaci, con relativa scadenza, che vengono spostati da un magazzino all’altro.

Nel pomeriggio, dopo aver caricato la Land Rover di alimenti, taniche d’acqua potabile e altro, con padre Alex e suor Alberta ci rechiamo a Kargi, una missione a 60 km. da Marsabit nel deserto, dove trascorreremo tutto il week-end.

725e40bb9b23c56fb4056c83fedee5f2.jpgIl viaggio offre un panorama mozzafiato nella discesa nel deserto e l’acquazzone improvviso che incontriamo ci costringe a guadare fiumiciattoli improvvisati. Per fortuna non ci impantaniamo, anche perché qui non esiste l’ACI e il cellulare non prende.

La missione di Kargi è in un posto incantevole su una collinetta che domina le manyatte e casette semplici. All’arrivo rimango incantato dalla bellezza del luogo e a stento trattengo le lacrime dall’emozione. Accanto ai locali della missione sorge una 5eb60375c3cdbbca7107698232e686ad.jpgChiesa semplice ed alcuni edifici di servizio, tra cui i locali dove alloggeranno le ragazze, mentre per me c’è una stanzetta nei locali della missione. Una folla di gente curiosa ci circonda mentre scarichiamo i bagagli dall’automobile.

Nei locali della missione l’energia elettrica è prodotta da pannelli solari, ma la batteria per immagazzinare l’energia non funziona e la cena si svolge al chiarore delle lampade a gas.  Suor Alberta è aiutata dalla simpatica cuoca Rose, oltre che dalle ragazze.

Padre Alex ci racconta le usanze della tribù Rendille che popola la zona.

Di sera l’aria è tiepida e rimango incantato dal buio del cielo stellato, rischiarato solo dalla Luna.

Prima di coricarmi, con la luce della mia torcia elettrica ispeziono il letto e il pavimento per assicurarmi che non ci siano scorpioni o altri animali sgraditi.

27 OTTOBRE 2006 VENERDI’ Kargi e Kur Kum

La notte a Kargi è un po’ calda ma siamo riusciti a dormire cullati dai canti Rendille provenienti dalle vicine manyatte. Le serate da queste parti, senza televisione, si trascorrono tra canti e danze intorno al fuoco, mentre gli uomini adulti e gli anziani si incontrano in una zona recintata per discutere dei problemi del villaggio.

84efdc0b343931b1944babf77c820dab.jpgAl mattino, nonostante una fastidiosa pioggia, con suor Alberta e la cuoca Rose facciamo il giro delle manyatte di Kargi. La gente è molto accogliente e vestita in modo curato. Rimaniamo colpiti da due ragazzi disabili che vivono nella loro capanna. Qui non esistono strutture per loro e trascorrono tutto il tempo rinchiusi nella capanna. I missionari ci raccontano che le femmine disabili vengono lasciate morire appena nate.

Nei locali adibiti alle riunioni parrocchiali incontriamo alcuni volontari che stanno a417b7fe2eba8f2020934a4386e55403.jpgpreparando sacchetti contenenti farina, zucchero con un po’ di olio per le famiglie più bisognose e coi bambini più denutriti. Ci fermiamo alcuni minuti per dare una mano a versare i diversi ingredienti da grossi sacchi di carta in un grosso recipiente dove vengono mescolati.

A pranzo padre Alex ci spiega che la parrocchia di Kargi è stata seguita per 5 anni da un sacerdote ugandese. Da quando questi lasciò l’incarico la parrocchia viene seguita da catechisti locali, in particolare Edwards, che conosceremo insieme ai suoi figli, e una volta al mese viene visitata da un prete della missione di Marsabit.

da9e1725f3767c0b1dd1b1b651a17ddd.jpgNella missione c’è una scuola primaria costruita da padre John Asteggiano, governativa ma ‘sponsorizzata’ dalla missione, che si occupa della sua direzione scegliendo il preside. Inoltre, c’è un dispensario medico seguito dall’infermiere John, con alcuni posti letto per seguire i parti e i casi più gravi in quanto l’ospedale più vicino è raggiungibile in diverse ore di automobile.

Nel pomeriggio con padre Alex e suor Alberta ci spostiamo a Kur Kum, un villaggio che dista 23 km. attraversando una zona desertica a tratti sabbiosa e a tratti ghiaiosa. L’unica costruzione con tetto in lamiera sono la casa parrocchiale utilizzata anche come scuola da un maestro locale. Gli abitanti vivono in capanne moltoad2a13c1b069acf6e795dc49efdfb7ba.jpg povere, tra le quali ci aggiriamo con suor Alberta che improvvisa con le donne una danza tipica.

Nel corso del nostro soggiorno a Kargi ci dobbiamo adattare: oltre a mancare l’elettricità ci possiamo lavare utilizzando poca acqua che ci siamo portati nelle taniche da Marsabit e che versiamo in una bacinella. I servizi igienici consistono in un buco nel terreno posto dentro una casetta in lamiera che sta dietro la casa parrocchiale. Di giorno bisogna difendersi dagli insetti mentre di notte bisogna prima fare uscire eventuali pipistrelli.

28 OTTOBRE 2006 SABATO Kargi e Olturot

Stamattina, nonostante la pioggia battente con padre Alex siamo partiti per il piccolo villaggio di Olturot, posto ai piedi delle montagne. Il paesaggio desertico che attraversiamo è insolito perché ci sono ciuffi di erbetta un 09214fd35a36d5ebc6283640be8f20eb.jpgpo’ dappertutto che è cresciuta per la pioggia caduta in questi giorni.

La gente è molto accogliente, in prevalenza Samburu, con molti bambini e ragazzi che quasi ci assalgono per essere fotografati e per vedere la fotografia appena scattata con le nostre macchine digitali. Il problema più grosso è metterli in posa perché tutti si accalcano vicini all’obiettivo della fotocamera.

d5da9acd57d189fdf3d172da38c9f53e.jpgOltre alla tipica manyatta di capanne c’è una chiesetta in lamiera dove padre Alex dice Messa e che ha accanto una stanzetta dove il prete può riposare quando fa tappa per proseguire al villaggio sulla montagna.

Vicino c’è una scuola primaria seguita da maestri locali e lungo la strada un piccolo ospedale con un punto di atterraggio utilizzato di tanto in tanto dai medici per operazioni d’urgenza.

Facciamo ritorno a Kargi, dove nel pomeriggio con suor Alberta proseguiamo la visita tra le case in muratura e il pozzo. Beviamo il ‘chai’, la bevanda tipica del luogo, a base di latte e thè che sa di caffelatte affumicato. Un po’ di timore di essere colpiti da dissenteria, noi abituati a bere solo acqua precedentemente bollita e filtrata. Riusciamo a onorare l’ospitalità senza conseguenze spiacevoli.

5cf187a0be7145090acba14b43663689.jpgCeniamo al chiaro di luna mangiando riso e carne di capra cucinati da Rose e altre donne del luogo in compagnia dei catechisti di Kargi. Il cibo è buono e assaggio anche il piccione che la sera prima padre Alex aveva catturato nella chiesa.

Lo stupendo cielo stellato mi suggerisce di mettere la sveglia prima dell’alba nel tentativo di osservare la costellazione della Croce del Sud, la più famosa dell’emisfero australe.

29 OTTOBRE 2006 DOMENICA Da Kargi a Marsabit

Stamattina sveglia alle 5 per osservare il cielo stellato. Qualche nube all’orizzonte distrurba la visione ma poco prima dell’alba mi sembra di intravedere quattro stelle posizionate a forma di croce che potrebbero essere ed230a17113c260f61ba48778b5e34d1.jpgdella costellazione della Croce del Sud. Spero di poterla osservare meglio una delle prossime notti. La sonnolenza prende il sopravvento e mi impedisce di osservare l’alba, così vado a coricarmi ancora per qualche ora.

Prima della Messa delle 10 siamo circondati da bambini, uomini e donne che ci chiedono di scattare loro delle fotografie per poi averle una volta stampate. Un anziano, Frances Kereyo, mi lascia il suo indirizzo facendomi ca378ceae8c9663e707074bd38e39cc3.jpgpromettere di spedirgli un orologio da polso come il mio. Simona impara a intrecciare i fili per fare una corda da una signora anziana che sulla camicia porta la scritta ‘Overland’ . Si vede che la famosa carovana sponsorizzata dall’UNICEF è passata anche da queste parti.

Scatto anche diverse foto al catechista Edward e alla sua famiglia. Uno dei suoi figli, David, che conosce bene l’inglese che studia a scuola, mi aiuta come interprete per comunicare con gli adulti che parlano solo il dialetto rendille.

b465044cffa7b8e446d1820458e3c54e.jpgLa Messa dura 2 ore con lunghi canti e danze. La Chiesa è stracolma e uno stuolo di bambini siede a terra. Uno di loro dorme appoggiato ad un altro, probabilmente suo fratello. Allo scambio del segno della pace i bimbi si mettono in fila per darci la mano.

Dopo un caldo pranzo in compagnia di molti insetti (penso che la temperatura si aggiri sui 30 gradi) ripartiamo per Marsabit accompagnati dalla simpatica cuoca Rose.

All’arrivo troviamo un paesaggio molto verde, dopo tanto deserto, una doccia calda a lungo desiderata, un thè e una cena come solo le suore sanno cucinare.

5524785cfa7add5ace5d3c22e459e220.jpgDopo cena riceviamo la visita di mons. Ambrogio Ravasi che ci consegna una copia dei libri più recenti scritti da don Tablino da consegnare al Centro Missionario Diocesano. Tutti stampati in inglese.

30 OTTOBRE 2006 LUNEDI’  Marsabit

Stanotte non sono stato bene, ho avuto un po’ di febbre. Ho temuto di avere la malaria, siccome sono stato punto da una zanzara mentre facevo la doccia, ma sembra più probabile un po’ di indigestione dopo l’abbondante cena e un po’ di stanchezza dal viaggio da Kargi.

3a829d6a2e12afc62d2a0021e482a34e.jpgAl mattino ho assistito alla prima lezione di inglese che hanno organizzato Jenny e Simona con un insegnante locale per imparare qualche parola nei ritagli di tempo libero nella missione. L’insegnante si chiama Elias Elema,  è molto giovane, vive a Goro Rukesa, nei dintorni di Marsabit, e si sposta con una bicicletta o a piedi quando piove. Col mio inglese scolastico cerco di fare da interprete fra insegnante e allieve quando non riescono a capirsi.

Raggiungiamo Serena dalle donne Turkana per prenotare e commissionare le collane, i braccialetti, i rosari e i portachiavi che intendiamo acquistare per fare regali ai nostri amici e amiche in Italia. Il pagamento avviene attraverso suor Betta e Alberta, che si occuperanno di versare la quota sul conto personale della donna che ha realizzato il manufatto.

Nella parte restante della mattinata abbiamo messo un po’ in ordine i libri nella biblioteca per i ragazzi.

ab6493d689171899dd304a3bac2f48b7.jpgNel pomeriggio sono rimasto a riposarmi un po’ nella missione per recuperare le forze dopo la brutta nottata, scattando qualche foto ai locali della missione approfittando del bel sole che è finalmente uscito. Ho lasciato andare le ragazze con suor Betta a fare i lavori pesanti ‘da uomini’: a caricare della ghiaia per consegnarla ad una signora bisognosa.

Alla sera mi sento un po’ meglio: la tachipirina che ho preso in giornata mi ha fatto bene.

In uno scambio di idee sui villaggi visitati i giorni scorsi con le mie ‘mogli’ (questa deve essere l’impressione del mussulmano che vede noi quattro a spasso per il paese), è emersa l’idea di un dispensario viaggiante per raggiungere i villaggi più sperduti, fornendo un letto per dormire agli infermieri itineranti.

Stanotte spero di riuscire a riposare bene.